Mistic-freak

Al mattino mi ero accorta che stavo facendo morire due piantine di begonie, e insomma, la giornata non era iniziata bene.

Con il palese fallimento del mio conclamato pollice verde, la conseguente morte di una pianta e l’urlo soffocato degli influencer del pollice verde, tutta gente che seguo e imito paro paro per nascondere la mia incapacità nel prendermi cura di quattro cazzo di piante.
Per stemperare questo fallimento, prequel di tutta una serie di sfighe che avverranno dopo ma io ancora non ho vissuto, mi avvio verso una lunga passeggiata con lo scopo di respirare aria pura e natura. La stessa natura che ho fatto morire poco prima.
Al termine della passeggiata mi avvio al famoso corso.


Noi insegnanti di yoga, tutti noi insegnanti di yoga, e non fidatevi di chi vi dice che non l’ha fatto.
Dicevo.
Tutti noi, almeno una volta nella vita ci iscriviamo ad un corso simil-mistico solo per sentirci in linea con le aspettative che ha di noi la società.
A me non piacciono molto le mantelle in stile peruviano, non mi piace parlare piano in modo calmo, l’odore dell’incenso mi da fastidio e di base non amo la compagnia di altri insegnanti di yoga.
Quindi per rimanere attaccata ad almeno un cliché dello yoga ogni tanto mi iscrivo a corsi che in realtà non voglio fare, ma che ci si aspetta da me che io frequenti.
Questo corso parlava di “meditazione e molto altro”. Il molto altro non ci è dato saperlo.
Iniziamo questa cosa seduti tutti assieme, in cerchio. Come dei piccoli pellirossa ad un incontro di alcolisti anonimi. Tutti diciamo il nostro nome, cosa facciamo e altre cose di cui poco importa. Capisco fin da subito di essere la persona più povera in quella stanza. Non avevo dubbi sul fatto che sarei stata l’unica persona nera.
L’anello della mia vicina di seduta costa quanto la mia macchina. Scopro successivamente che una tipa è praticamente proprietaria di una multinazionale. I maschi odorano di mistico e soldi, mistic-soldi. Io ho i vestiti della decathlon indiana. La parte di me più costosa è probabilmente una sciarpa comprata a Goa, per tipo cinque euro.
Iniziamo per davvero e l’insegnante, ovviamente è: coach, nutrizionista, insegnante di yoga, insegnante olistica e persona esperta della vita.
Il tutto è volto a spiegarci l’importanza di fare le cose consapevolmente, un elogio al presente. Fare tutto piano, respirare piano, muoversi piano, pensare piano e mangiare piano. Io ho speso dei soldi. Per fare quello che Eckhart Tolle mi ha insegato anni fa gratuitamente, scaricando il suo libro illegalmente. La parte teorica è un miscuglio di facce sognanti e grossi assensi. Il tipo cinquantenne vestito come Manu Chao ha tutte le risposte. E non è cosa da poco visto che le domande sono a dir poco imbarazzanti.
Questa cosa cosa vi sembra? Guardatela con gli occhi, non con il cervello.
Mi sento a disagio, tanto quanto quella volta alle medie che in chiesa mi avevano vestita da re magio, e ho sfilato davanti a tutto il paese. Vestita da maschio. Non-binary prima che diventasse di moda.
La parte pratica di questo corso mi ha fatto provare nostalgia per la parte teorica, che come avrete capito era un misto di fuffa e sguardi sognanti.
Dopo ore di questa cosa, circondata da persone vegane amanti delle piante, che mi hanno fatto provare piacere per l’aver ammazzato le begonie, ci spostiamo a tavola.
Non c’è niente di più terribile di rimanere incastrati a cena dopo un incontro di mindfulness. È la morte, la fine dei sensi. Tutti appiccicati, sognanti, un camposcuola, in cui tutti parlano solo del meraviglioso corso, del meraviglioso coach e del meraviglioso tutto.
Io avevo ammazzato le begonie, Paolo Fox aveva predetto mesi difficili, stavo ricominciando a perdere peso e non mangiavo da tipo due giorni, dormivo male, non riuscivo a fare le cose più normali da due giorni streight, insomma non stavo bene.
Ci sediamo a questo tavolo enorme e tutti parlano, parlano, parlano. Io non ascolto, perché vengo presa da una sensazione strana, un rumore interno, succede qualcosa dentro di me a livello stomaco. L’ho già detto che non mangiavo da due giorni? Mi rendo conto di avere fame. Il corso di mindfulness come un incontro con la psicologa, pensi che non sia servito a niente invece eccolo, un piccolo beneficio.
Finalmente ho fame.
Una fame vera, una fame atavica.
Finalmente.
Mi viene la felicità.
Quella di cui cantano le persone famosa, quella dei film. Quella felicità lì. Dopo un tempo che sembra infinito portano le cose in tavola. Per il prezzo del corso mi aspettavo caviale vegano e quintali di cibo. Ci arrivano verdurine dell’orto in porzioni stitiche.
La sorpresa.
L’ultima parte del corso. Mindfulness applicata al cibo.
Mangiare lentamente e poco per raggiungere un vero stato di sazietà. Guardo il tipo vicino a me palesemente in sovrappeso e conto di iniziare con un lui una rivolta simile alle rivolte degli anni ‘70. Con bombe a mano e tutto quanto. Lui invece sembra felice. La tipa con l’anello che costa quanto la mia macchina anche. Io mi scuso e chiedo dove sia il bagno. Senza farmi notare esco dallo stabile e mi metto a correre, verso una libertà che non provavo da tanto. Sono andata in un bar, ho ordinato un panino e una birra.
Il giorno dopo ho buttato le begonie nel campo vicino. Non ho mai più risposto alle mail della coach. Non farò mai più corsi di “meditazione e altre cose”.
Sono troppo povera per essere infelice.

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