D’amore non si muore

Su un muro di Padova campeggia la scritta d’amore non si muore.

Ingenuamente pensavo l’avesse scritta qualche amante ferito e poi curato delle proprie ferite. Più avanti scoprirò che invece è l’urlo arrabbiato delle compagne di non una di meno.

Prima che mi si rivelasse questa ovvietà ogni volta che ci passavo davanti pensavo a te e a quanto invece d’amore si morisse e si morisse anche piano piano.

In un gioco malato in cui ci prendevamo e ci lasciavamo, come spighe al vento, lasciandoci abbandonare dai nostri umori e dalla nostra salute mentale sempre più precaria penso di aver pensato che d’amore sarei morta.

Poi quando quel vento troppo forte ha strappato le spighe lasciandoci solo un vuoto, sordo e stupido, ho capito che d’amore sarei morta solo io.

Sull’amore è stato scritto e detto di tutto, ma quando ti capita e quanto ne vieni privato il dolore chissà perché diventa privato, come se chi è a fianco a te non potesse o non volesse capire quanto la tua carne e le tue ossa richiedano la presenza dell’innamorato.

È come un puzzle senza quel maledetto pezzo al centro. Un pezzo con così tanti colori che difficilmente riesci a sostituire con una pennellata stupida per coprirne l’assenza. È come se la vita con l’amato in realtà racchiudesse più vite e ora che tu ne sei fuori capissi tutt’un tratto quanto senza quel pezzo niente abbia più senso.

Quando ero piccola vidi per la prima volta un film di Valeria Golino, lei recitava la parte della moglie un po’ pazza nell’isola di Lampedusa. Tutto in lei mi attraeva, il suo corpo, le sue gestualità, il fatto che quel personaggio costruito per il piccolo schermo lasciasse trasparire un’animalità che solo la pazzia ti può dare.

Ecco, quando ero innamorata ero una sorta di animale imbizzarrito che si lanciava senza paura nei meandri di quella cosa sbagliata e strana che chiamiamo amore. Ero pazza di quegli odori, di quella ritualità, della vicinanza ad una persona che poi non avrei rivisto più.

Ero anche pazza veramente, nel vero senso della parola, quando mi arrabbiavo lanciavo cose, mi lasciavo andare al mio dialetto, cattivo e ruvido, in cui dicevo basta.

Trasformavo il mio corpo in un blocco di pietra e mentre me ne andavo non riuscivo mai a muovere le mani, la rabbia mi immobilizzava sempre. Eppure non morivo in quei litigi, semplicemente mi trasformavo, un cavallo senza briglie, un cane rabbioso che sputava bava. Per poi tornare bastonata e mansueta dal suo padrone.

Quando mi sono ritrovata sola invece, senza padrone a cui tornare, sola in un mondo che avevo lasciato diverso, mi sono ritrovata in un’altra realtà parallela. La realtà di chi ha perso qualcosa e non sa come riaverla. Non sa come riappropiarsene. Perché è vero che d’amore non si muore ma io ho sentito che tornata alla realtà, privata di quell’amore che mi aveva protetta e scalciata per anni, la realtà stessa aveva perso di sapore. Aveva qualcosa che mi sfuggiva che non riuscivo a comprendere.

È stata come quella volta che mi ero convinta di aver trovato il significato della vita per poi dimenticarmelo subito dopo.

Insomma d’amore non si muore però io mi porto addosso i brandelli di quello che è stato e me lo avvolgo attorno sempre più stretto sapendo che il tempo lo renderà uno straccio finissimo da cui io non mi voglio staccare.

D’amore non si muore ma io sento che un pezzo di me è morto e che non lo rivedrò più e forse è più giusto dire che d’amore si muore un po’ ma alla fine si sopravvive sempre.

Lascia un commento

Crea un sito web o un blog su WordPress.com

Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia ora