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Un’altra piccola crisi

Mi siedo in questa sedia di ferro battuto, proprietà di questo bar che dovrebbe essere chic o medio chic o finto chic, non l’ho ancora capito.

Mi siedo convinta che non mi sarei divertita e non faccio niente per cambiare idea.

Iniziano tutti a parlare di attori italiani degli anni ottanta, fingo di non conoscerne nessuno. In realtà li conosco tutti, li ho studiati, so che scuole hanno fatto, perché sono famosi, la poetica bla bla bla.
So tutto.
Fingo.

In realtà loro non li conoscono, e non mi interessa contraddirli, voglio che continuino a parlarne, elevando la conversazione per finta.
Un rito.
Una sorta di pavone che apre la coda per farsi vedere dalle femmine.

Mi piango addosso, ma non lo faccio vedere.

Li ascolto e lentamente li giudico tutti, con rabbia e cattiveria, e non ci provo neanche a non farmi notare. Ordino un cocktail, ipercostoso, che forse non mi piacerà, e lo faccio proprio perché voglio rovinare la serata, a tutti.
Non so perché lo faccio.

E ascolto queste informazioni sbagliate su un attore che mi piace tanto. Non hanno mai guardato un suo spettacolo,
lo sapevo.
Che ridere.
Che odio.

E mi piango addosso.

Perché sono uscita di casa?

In realtà mi hanno fatto un favore.
È perché sto male,

[portiamola fuori come se fosse un cane, diamole aria come si fa con le coperte.]

E io non ci riesco neanche a volergli quel po’ di bene, quel po’ di bene che basterebbe a correggerli, a dirgli che hanno detto cose sbagliate

-e state attenti con le ragazze che magari ve ne capita una che le cose le sa e voi come fate?-

Non lo so. Non mi interessa.

Mi arrabbio, mi alzo e mi risiedo.
In bagno sento altre frasi, inutili, di persone che non conosco. Continuo a bere. Mi lasciano fare. Evidentemente non sto abbastanza male per essere fermata.

Sento nella mia testa come se ci fosse un’altra me che deve odiare, che deve odiarli tutti.
Sento nella mia testa come qualcosa che spinge verso il basso e non deve uscire e io non capisco più cosa dicono. Mi sdoppio e mi vedo da fuori e vedo che la mia rabbia appare come una forza disperata, sono io che lotto contro di me e non so come fare.
Perdo comunque.

Mi allontano un attimo. Mi siedo distante e inizio a pensare che non mi ricordo più le facce delle persone che una volta per me erano importanti. Sbiadisce tutto sotto a questo peso di cattiveria che non so come buttare fuori.

E non mi sento più.

Mi alzo e torno a sedermi.
Ho avuto una piccola crisi e nessuno l’ha notata o nessuno ha voluto notarla e io mi sento meglio.
Ho ancora tanta cattiveria che non so a chi riversare.
Per questo ne parlo a lei dottoressa.
E lo so che non sto andando bene.

Però almeno non me ne sono andata.

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