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Egoismo in pillole

Il momento esatto in cui ho capito che non sarei morta della sindrome da cuore spezzato.

Che fra parentesi, la scienza dice che si può morire ed io che sono ipocondriaca ho pensato che ne sarei morta.

Insomma.

Ho capito che non sarei morta per il mio cuore spezzato in un occasione singolare che ha tirato fuori tutto il mio lato egoista più nascosto, o forse era self preservation, non lo so, ma credo che lo capirò alla fine di questo discorso.

Insomma.

Un anno fa andai in montagna con i miei genitori e gli amici dei miei, una vacanza fra pensionati che a me dava la possibilità di tenere la testa impegnata, come una ragazzina che esce dalla rehab.

Passai una fantastica settimana ad essere insultata perché non giocavo bene a carte, non trovavo i funghi giusti, non camminavo velocemente, e non avevo le scarpe adatte per andare in montagna.

[Ho capito che l’attrezzatura è un must per chi di funghi se ne intende.]

Dunque.

Passai una settimana piacevole, e lo dico veramente, perché forgiare una giovane donna alla montagna è la miglior terapia possibile.

Mi disperai a tratti, ma meglio del solito.

Diciamo che i miei parenti ce la mettevano tutta per non ricordarmi che ero lì con loro e non con il mio ex compagno di una vita, perché lui un’altra vita ce l’aveva già.

Ma il momento esatto in cui capii che non sarei morta per il mio cuore spezzato non fu quando mio zio urlò che le regole di scala quaranta me le stavo inventando, che poi abbiamo controllato sul sito ufficiale ed avevo ragione io.

Il momento esatto fu quando, settimane dopo, mia madre mi disse che era andata in un altro posto, un’altra montagna, con altri parenti, e lì a soggiornare con loro c’era un tizio che come me si stava separando e come me la ex moglie aveva un’altra famiglia, e come me lui aveva completamente perso la brocca.

Stesso modus operandi, fermo in camera a guardare il muro per ore, disperazione, digiuni, frasi sconnesse senza senso, persone a caso che lo controllavano con remissiva puntualità.

Ed esattamente in quel momento mi sono sentita meno speciale nel mio dolore, ho capito che potevo farcela, che non mi era successo niente di diverso da chissà quante persone, e alla fine, forse in qualche modo ce l’avrei fatta.


Mi sono guardata indietro, nei mie ridicoli tentativi di autoflagellarmi e ho riso, una risata un po’ isterica, per eliminare quegli ultimi residui di pazzia che mi tenevano attaccata alla psicologa, una volta alla settimana tutti i venerdì alle ore 13.

Nel momento in cui capii che il mio dolore non era irreparabile stetti meglio.

Mi sono guardata le mani e non c’erano stigmate.

Non ero quella santa martire che tanto mi piaceva autoproclamare.

Ho sistemato la mia camera e sono andata al lavoro.

Sono stata meglio.

Chissà se quel tipo adesso sta meglio.


Quest’anno non andrò a raccogliere funghi.

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